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Il fine giustifica sempre il mezzo..?

Si chiama Carbon Border Adjustement Mechanism (CBAM) ovvero il meccanismo di “adeguamento del carbonio alle frontiere”, cioè una nuova imposizione fiscale che peserà maggiormente su tutte le importazioni di ferro, acciaio, alluminio, cemento, fertilizzanti, elettricità e idrogeno.

Si tratta di un provvedimento che fa parte del più generale “Green Deal Europeo” e riguarda l’adozione di dazi doganali ambientali (a partire dal I° gennaio 2026) sui prodotti con elevate emissioni di gas serra nel loro processo produttivo, importati nell’Unione Europea. L’obiettivo dichiarato è evitare la delocalizzazione delle merci la cui produzione provoca elevate emissioni di gas serra.

Grazie al CBAM, si “potrà garantire” che i beni importati in EU rispettino standard ambientali analoghi a quelli richiesti ai produttori europei. Si dovrebbe quindi garantire una “concorrenza leale” tra produttori interni ed esterni alla EU. In pratica, dovremmo stimolare Paesi produttori (tipo la Cina, l’India…) ad adottare pratiche sostenibili nei loro cicli produttivi evitando così quel fenomeno elusivo di rilocazione dei crediti di carbonio che oggi è una pratica diffusa..

Al precedente provvedimento si aggiunge l’ETS (ovvero il sistema di scambio delle quote di emissioni in EU) che prevede che a partire dal 2027 la riduzione delle emissioni vale anche per le Piccole e Medie aziende non incluse nel CBAM

Tutte le Aziende dovranno quindi ottenere lo status di “dichiarante CBAM autorizzato” per poter importare le merci comprese nel provvedimento e questo, naturalmente, ha un costo, ovvero una tariffazione del carbonio che graverà sulle Aziende Italiane ed europee (I beni soggetti a questa normativa sono: cemento e prodotti di cemento, elettricità, fertilizzanti minerali e chimici, prodotti di ferro e acciaio, prodotti di alluminio e idrogeno e a questi aggiungiamo anche prodotti intermedi specifici come benzina, gas naturale liquefatto, olio combustibile, gomma sintetica, plastica, lubrificanti, antigelo, fertilizzanti e pesticidi, ecc..)

Tutto questo naturalmente è finalizzato sia a rivedere la catena del valore delle importazioni, quindi a cercare produttori europei che rispettino la normativa, ma è altresì finalizzata a “sensibilizzare” i produttori esteri a utilizzare sistemi produttivi a basso impatto ambientale.

A questo punto mi chiedo: perché dobbiamo essere sempre Noi europei (e italiani in particolare avendo una grande dipendenza di materie prime e semilavorati) a voler fare i “paladini” del mondo, non solo autoinfliggendoci norme restrittive circa le emissioni (che hanno affossato un intero settore, quello Automotive…) ma avendo anche la “supponenza” di obbligare gli altri a seguire il nostro esempio (che ritengo nobile e NECESSARIO ma sicuramente regolamentato in altro modo)?

DAZI in uscita verso gli USA + DAZI in entrata da Paesi che inquinano = NON COMPETITIVITA’ sui mercati di esportazione e PREZZI ALTI per Noi consumatori

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